Il rimpatrio dei civili dall'Africa orientale dopo la caduta dell'Impero

L'eroica missione di quattro navi bianche

di Vincenzo Martines

L'eroica e prolungata resistenza del duca Amedeo d'Aosta con i suoi 7000 uomini alle soverchianti forze inglesi che si svolse dal 17 aprile al 17 maggio del 1941 sull'Amba Alagi , conclusasi con la resa ma con l'onore delle armi, segnava di fatto la fine del nostro Impero. Il duca usando per l'ultima volta la radio comunica a Mussolini la decisione della resa:

“Convinto che un'ulteriore resistenza potrebbe a gran prezzo di sangue protrarsi solo per qualche giorno, se non per qualche ora, ho deciso sotto la mia responsabilità di stipulare le condizioni della resa, ottenendo l'onore delle armi; agli ufficiali sarà conservata permanentemente la pistola; le truppe nazionali e le indigene rimaste fedeli sfileranno in armi dinanzi ai reparti inglesi che renderanno gli onori... Gondar e il Galla e Sidama continueranno a resistere fino a che potranno. Io seguo il mio destino confortato di aver fatto tutto il mio dovere”.

Filmato d'epoca sulla resa di Amba Alagi

L'impero italiano

Amedeo di Savoia prigioniero verrà condotto in aereo a Khartum poi a Nairobi e vivrà in un villino di caccia a Donyo Sabouk che si trova a 100 chilometri dalla capitale keniota. Pochi giorni dopo il Natale del 1941 si ammala e viene trasferito presso il General Hospital di Nairobi. Gli accessi della malaria di cui era affetto vengono dominati dalla terapia con chinino, ma sopraggiunge il tifo petecchiale con complicanze polmonari. La sera del 2 marzo la situazione si aggrava e il duca chiede i sacramenti. Al suo medico personale il dottor Edoardo Borra confida :

“E' bello essere in pace con Dio , con gli uomini, con me stesso. Quante volte ho pensato che sarebbe stato meglio morire sull'Amba Alagi. Ricordate? Si poteva morire benissimo lassù, ma adesso capisco che sarebbe stata vanità. E bisogna saper morire anche in mano al nemico, anche in ospedale”.

Alle ore 3.45 del 3 marzo 1942 il decesso. Alle esequie che si svolgeranno il 7 marzo presso la chiesa cattolica irlandese della Sacra famiglia sono presenti i generali inglesi Platt e Wetherall e i generali Nasi, Scala, Martini, Torre e Sabatini. E conclusa la funzione religiosa sarà sepolto nel cimitero militare di Nyong Road..

I britannici completata dopo alcuni mesi l' occupazione dell'Etiopia e della Somalia dove rimanevano ancora sacche di resistenza (in particolare il ridotto di Gondar con il generale Guglielmo Nasi) avevano inviato i prigionieri italiani e gli uomini validi nei campi di internamento in Kenya, India e Sud Africa. Rimanevano tuttavia in Etiopia e in Somalia oltre 30.000 italiani tra donne, bambini, vecchi ed invalidi e quindi per i britannici nasceva il problema di provvedere al mantenimento e all'assistenza logistica e sanitaria di un gran numero di persone.

Il governo inglese attraverso i canali diplomatici degli Stati Uniti (non ancora entrati in guerra) e la Croce Rossa internazionale comunicava che non poteva garantire l'incolumità degli italiani minacciata dall'odio degli indigeni per cui se non ci fosse stato un intervento di rimpatrio da parte dell'Italia sarebbe stato costretto a internarli prima nella Somalia britannica, per poi trasferirli nelle colonie inglesi in India e in Australia.

A questo si aggiungeva il triste episodio avvenuto nella città di Dire Daua dove un centinaio di bambini italiani erano deceduti per una epidemia di morbillo. Occorre tuttavia precisare a proposito delle possibili ritorsioni degli etiopi nei confronti dei nostri connazionali che Hailè Selassiè appena tornato ad Addis Abeba il 5 maggio del 1941 aveva pronunciato un discorso assai conciliante , aveva si ricordato le stragi di Graziani e i duri anni dell'occupazione italiana ma aveva aggiunto:

“... poiché oggi è un giorno di felicità per tutti noi, dal momento che abbiamo battuto il nemico, rallegriamoci nello spirito di Cristo. Non ripagate dunque il male con il male. Non vi macchiate di atti di crudeltà così come ha fatto sino all'ultimo istante il nostro avversario. State attenti a non guastare il buon nome dell'Etiopia ...”.

Hailè Selassiè Selassiè, ultimo imperatore d'Etiopia

Le donne, i bambini, gli invalidi e gli anziani (gli ultrasessantenni) erano stati concentrati nel campo di aviazione di Dire Daua, nel campo scuole di Harar e in alcuni campi nel Somaliland a Mandera e a Hargheisa, in tutti le condizioni erano difficili e i disagi morali gravissimi ,promiscuità insufficienza nel vitto, di medicinali, dubbia la potabilità dell'acqua con pericolo di epidemie, nei baracconi piove e i pali che li sostengono sono rosi dalle termiti.

Il morale è basso: sofferenza, umiliazione, rabbia (sono stati depredati di tutto) e anche propositi di vendetta ma è forte il proponimento di tornare ; cercano di tenersi su cantando quartine che descrivono questi sentimenti, ne propongo un frammento :

“Osteria dell'ovo sodo:
poca pasta e niente brodo,
con quel poco di secondo
finiremo all'altro mondo.

Osteria numero uno:
mi preparo a far digiuno;
questi inglesi disgraziati
noi ci lasciano affamati
...
Osteria numero tre:
attenzione Selassiè
chè gli inglesi portan via
pure i sassi della via

La decisione del governo italiano non fu facile perchè qualcuno riteneva che la proposta inglese tendesse ad espellere definitivamente gli italiani dall'Africa (noi speravamo di tornare presto ed è famosa una cartolina stampata dopo la caduta dell'Impero con la frase “Ritorneremo”) altri , la maggioranza, propendevano per il rimpatrio di quei civili indifesi e questa fu la decisione presa da Mussolini.

Cartoline con lo slogan lanciato da Amedeo d'Aosta: "Ritorneremo"

Si pensò in un primo tempo di impiegare due grandi transatlantici il Rex e il Conte di Savoia. ma furono scartati per il rilevante consumo di combustibile e le forti spese di trasformazione: così si ripiegò su quattro belle unità passeggeri molto simili tra loro le gemelle Vulcania e Saturnia e il Duilio e il Giulio Cesare anche loro gemelle.

Poster pubblicitario dei transatlantici Saturnia e Vulcania. La Croce Rossa per il rimpatrio dei civili dall'Africa Orientale Italiana noleggiò quattro gloriosi transatlantici, alcuni in disarmo da tempo ed altri che, per esigenze di guerra, erano stati convertiti in navi trasporto truppe.

Ancora un poster pubblicitario dei transatlantici Saturnia e Vulcania. Il Vulcania fece il suo primo viaggio nel 1928 sulla rotta Trieste-Napoli-Patrasso-New York, mentre il Saturnia fece il suo viaggio inaugurale nel 1927 sulla rotta Trieste-Napoli-Marsiglia-Sudamerica.

Poster pubblicitario dei transatlantici Giulio Cesare e Duilio. Furono i primi grandi transatlantici italiani e facevano rotta dapprima su New York e poi verso il Sudamerica.

La nave ospedale Saturnia aveva una STAZZA LORDA di 24.570 tonnellate e una LUNGHEZZA di 182 metri. Montava due motori FIAT diesel e poteva raggiungere la VELOCITÀ di 22 nodi.

Gemella del Saturnia, la nave ospedale Vulcania aveva una STAZZA LORDA di 24.570 tonnellate e una LUNGHEZZA di 182 metri. Montava due motori diesel e poteva raggiungere la VELOCITÀ di 22 nodi.

La nave ospedale Duilio aveva una STAZZA LORDA di circa 22.000 tonnellate e una LUNGHEZZA di 193 metri. Poteva raggiungere la VELOCITÀ di 20 nodi.

Gemella del Duilio, la nave ospedale Giulio Cesare aveva una STAZZA LORDA di circa 22.000 tonnellate e una LUNGHEZZA di 193 metri. Poteva raggiungere la VELOCITÀ di 20 nodi.

Le competenze di questa delicata e rischiosa missione erano in primis del Ministero dell'Africa Italiana, poi del Ministero degli Esteri , di quello della Regia Marina , della Mercantile e della Croce Rossa italiana. Una parte delle navi venne adattata ad ospedale (non tutti i profughi necessitavano di cure).

La sala operatoria a bordo della nave ospedale Giulio Cesare. Ogni nave bianca aveva 250 posti letto, suddivisi in: reparto medicina, reparto di pediatria, reparto di chirurgia, reparto di ginecologia ed ostetricia, reparto di isolamento per infettivi, reparto per pazienti psichiatrici, SALA OPERATORIA, SALA PARTO, Gabinetto di radiologia, Gabinetto odontoiatrico, Laboratorio e Farmacia

Il personale sanitario ,per ogni nave, era composto dal preesistente medico di bordo civile con i suoi infermieri, da un direttore sanitario della CRI , da sei medici della CRI e del Ministero dell'Africa italiana, , un farmacista , infermieri , 14 Infermiere Volontarie ed un cappellano. I servizi sanitari delle quattro navi erano coordinati dall'Ispettore sanitario il generale medico Alcibiade Andruzzi

1942, il personale a bordo della nave ospedale Vulcania

Tutto il personale sanitario aveva frequentato un corso di Medicina tropicale e di igiene tenuto dal generale medico della R. Marina Mario Peruzzi, dal prof Bastianelli malariologo e dal prof. Aldo Castellani direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Tropicale della R. Università di Roma.

Il generale medico Aldo Castellani scopritore del Trypanosoma gambiensis, il microrganismo che attraverso la puntura della mosca tse-tse provoca la malattia del sonno

I porti indicati dagli inglesi per il rimpatrio dei profughi erano Massaua e Berbera.

Mappa di Massaua La rotta delle navi sarebbe stata necessariamente quella del periplo dell'Africa attraverso il Capo di Buona Speranza per complessive 10.460 miglia , ben superiore a quella del canale di Suez (2.400 miglia) ma che avrebbe comportato alti rischi.

Come Capo della missione delle navi bianche venne designato Saverio Caroselli, già governatore della Somalia italiana. Uno dei problemi logistici più importanti era quello del rifornimento di nafta e diesel per cui a due petroliere italiane l'Arcola e il Taigete (riparate dopo lo scoppio del conflitto nelle Canarie ) venne concesso di rifornirsi in Messico e in Golfo Persico ,(munite ovviamente dei contrassegni di neutralità come quelli delle navi ospedale) per poi procedere al rifornimento in determinati punti d'incontro.

Il ministro dell'Africa Italiana Teruzzi

Le navi bianche partirono per la prima missione nell'aprile del 1942 Il primo porto toccato fu quello di Gibilterra dove imbarcava la commissione britannica ( una per ogni nave) composta da un Capitano di Vascello, un S.T.V. , 6 soldati e 5 marinai di cui tre radiotelegrafisti che si dislocavano nelle stazioni RT. Il governatore Caroselli che stava sul Saturnia consegnò al Comandante britannico una lettera nella quale si chiedevano garanzie formali circa il prosieguo del viaggio e il nostro impegno a non utilizzare la radio di bordo per scopi bellici. La risposta da parte inglese fu immediata:

“Per ordine di Sua Maestà britannica si invitano tutte le forze inglesi ed alleate a rispettare e prestare assistenza alle quattro unità ospedale italiane ed ai componenti la missione.”

Il secondo porto toccato era Sao Vicente ( Capo Verde) quindi, superato il capo di Buona Speranza ed entrati nell' Oceano Indiano, altra sosta per rifornimento a Port Elizabeth. Poi superano il canale di Mozambico a ponente del Madagascar , il golfo di Aden , la montuosa isola di Socotra e Capo Guardafui e finalmente il porto di Berbera dove la temperatura era altissima e nei locali interni superava i 50°.

Laboratorio a bordo della nave ospedale Giulio Cesare (1942)

I profughi imbarcarono nel numero di settecento al giorno per un totale di 2500 per nave (il Duilio e il Giulio Cesare andranno ad imbarcare i nostri connazionali a Massaua). Venivano prima registrati , poi seguiva la bonifica (doccia, disinfezione, eventuale spidocchiamento etc.) poi era stato istituito un punto di ristoro con bevande e panini infine la destinazione nelle cabine o nei dormitori o nei reparti ospedalieri o in isolamento (diversi erano i casi di tubercolosi, ma anche di alienati).

Altra immagine del laboratorio a bordo della nave ospedale Giulio Cesare (1942) Quando i reduci furono a bordo dagli altoparlanti venne diffusa la Marcia Reale e la commozione coinvolse sia i profughi che l'equipaggio.

Si verificarono anche alcuni tentativi di militari italiani scampati alla prigionia di salire a bordo, una situazione pericolosa perchè le regole imposte dagli inglesi prevedevano, se fossero stati ospitati, il sequestro dell'unità e l'internamento dell'equipaggio , per cui a malincuore vennero sbarcati anche se muniti di ogni genere di conforto. Il momento della partenza delle navi fu da un lato liberatorio ma dall'altro doloroso per tutti i rimpatriati; la signora Anna Maria Moglie che ha scritto un diario pubblicato da Trevi (Roma , 1978) dal titolo "Africa come amore", dirà :

“ ..guardo gli ultimi lembi della terra d'Africa, che ormai lascio per sempre. Laggiù , nell'interno lascio Carlo ( è il marito, funzionario di Banca) che forse non sa ancora che io sto tornando in Italia. Come l'avevo immaginato diverso questo ritorno. Quante vicende, quanto soffrire : ripartivo come un emigrante, sola. Ma eravamo vivi ! Molte partivano lasciando in Africa una tomba e quindi a me non restava che ringraziare Dio per la sua benevolenza...”.

Fu mirabile l'opera del personale sanitario per assistere i nostri connazionali provati dai disagi fisici, della malnutrizione , dal trauma di dover lasciare la nuova patria : Sala operatoria sempre pronta, così la sala parto, dove nasceranno tanti bambini. Alcuni profughi non ce la faranno e la loro sepoltura sarà il mare.

Registro sanitario di bordo della nave ospedale Giulio Cesare (1942)

Il rientro in Patria avviene nel mese di giugno, il Saturnia dove c'è il Capo missione Caroselli ( che sposerà più tardi la capogruppo delle crocerossine sorella Anna Zezza) giungerà a Napoli il 21 , accolto da una grande folla; terminata la manovra di ormeggio sale a bordo la principessa Maria Josè di Piemonte accompagnata dal ministro dell'Africa Teruzzi, i rimpatriati piangono per la commozione.

La principessa Maria Josè di Piemonte

Poi giunge Anna di Francia consorte del duca d'Aosta (morto in prigionia a Nairobi il 3 marzo del 1942) . Una giovane sposa che era riuscita a giungerle vicino, indicando il suo bambino , le disse : “E' nato a Gimma e si chiama Amedeo...”. La duchessa lo prese in braccio e lo baciò visibilmente commossa. Poco dopo , inaspettatamente, giungevano a bordo, con un motoscafo il Re e la Regina e allora, dirà Dobrillo Dupuis nel suo libro “La flotta bianca” “l'entusiasmo dei profughi rasentò il delirio”.

La seconda missione si svolse dal settembre del 1942 al gennajo del 1943 con modalità simili alla prima, a Berbera imbarcherà , con gli onori militari da parte degli inglesi, il Vicario Apostolico dell'Impero monsignor Emilio Castellani O.F.M. ( con sollievo dei britannici che si sbarazzavano di un religioso che aveva grande carisma e seguito in tutta l'Africa orientale italiana) Saranno portati così in Italia altri 10.000 profughi.

Il libro di Francesco Pancrazio che racconta la missione umanitaria del 1942

La terza missione inizia a maggio e si conclude nell'agosto del 1943 , ma in Italia il 25 aprile Mussolini è sostituito da Badoglio e via radio vengono date le disposizioni che devono essere adottate : tra cui la rimozione dei simboli fascisti , così nello scalone della hall del Vulcania il busto di Mussolini venne sostituito da quello di Cristoforo Colombo.

Nel viaggio di ritorno a Gibilterra una motovedetta porta a bordo il Capo di Stato Maggiore dell'Ammiragliato il Capitano di Vascello Pikenott che rende noto che i tedeschi stanno per invadere la penisola come nemici e che quindi le navi bianche corrono il rischio di essere silurate per cui il governo inglese offre la possibilità di dirigere le navi in un porto neutrale o in un porto della Sicilia occupata dagli Alleati. Il governatore respinse la proposta e Supermarina via radio comunicò : “dirigete per Taranto !“

In prossimità della Patria

Le navi bianche con i profughi sbarcarono nella città dei due Mari e furono ricevuti dal nuovo ministro dell'Africa italiana Melchiade Gabba, ma quale spettacolo per i rimpatriati nel vedere le macerie di Taranto semidistrutta. Lungo la banchina un convoglio ferroviario formato da vagoni letto e carri merci e il mattino seguente cominciò il trasbordo . Le missioni erano così terminate portando in patria 30.000 profughi italiani .un'impresa ammirevole in piena guerra con rischi altissimi come le insidie delle mine e tra l'altro non voluta fortemente dai tedeschi, tanto che sembra che Hitler abbia detto in una delle sue sfuriate che gli U boot dell'Amm. Donitz avrebbero provveduto a mandare all'aria quella subdola spedizione.

Il Giulio Cesare e il Duilio che appartenevano al Lloyd Triestino vennero posti in disarmo a Trieste, ma verranno affondate da bombardamenti aerei la prima l'11 settembre del 1943 e la seconda il 10 luglio del 1944. Il Saturnia e il Vulcania della Società Italia vennero requisite dagli Alleati e navigarono per un po' di tempo sotto bandiera americana.

Il libro di Vecchi sulle navi bianche

Relazione esposta dall'Ammiraglio Vincenzo Martines al Convegno “ATTIVITÀ SANITARIE A BORDO DI NAVI PASSEGGERI”, organizzato dal Prof. Mauro Salducci presso l'Aula Busi dell'Istituto di Radiologia del Policlinico Umberto I di Roma, il 14 maggio 2018

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