Ammiraglio Vincenzo Martines

Le avventure di un medico militare

Radiografia di un'Ammiraglio

Saluto del Capo di Stato Maggiore della Marina all'Ammiraglio Vincenzo Martines, Direttore Generale della Sanità Militare, in occasione del suo collocamento in ausiliaria

Tra gli interventi del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio di Squadra Paolo La Rosa, oggi Consigliere di Stato, (pubblicati in tre volumi nel 2010) uno è dedicato alla mia persona; anche se i suoi giudizi potrebbero apparire assai lusinghieri e certamente superiori ai miei meriti, desidero riportarlo integralmente:

"Cari amici, il "Senato" della Marina, ingentilito dalla presenza delle gentili consorti, saluta oggi il suo decano. Un titolo, uno fra i tanti, caro Vincenzo, che mi sento qui di far prevalere sugli altri perché forse più degli altri carico di significati. In realtà, in termini rigorosamente formali, la tua ultima funzione di Direttore Generale della Sanità Militare interforze richiama valenze diverse, ambiti ben superiori e istituzionalmente più prestigiosi. Ma tu l'uniforme blu non l'hai mai dismessa e mai lo farai e noi vogliamo salutarti con quella uniforme indosso. La terrai in futuro ben riposta nel guardaroba, contenitore di una storia personale e professionale degna di memoria.

A nome della Marina tutta, porgo dunque il saluto al Capo del Corpo Sanitario della Forza Armata e al grande collega. Lo faccio con la stima derivante da una profonda conoscenza reciproca, con i i sentimenti di una solida amicizia e con lo stato d'animo di chi sa di dover seguire queste tue stesse vicende tra poco meno di un mese. Trentanove anni di qualificatissima ed appassionata opera al servizio del Paese. Diciassette di questi, il 44%, nel grado di Ammiraglio, un record. Un quarto della tua straordinaria carriera al vertice della Sanità della Marina, un terzo come Capo di Corpo, un altro record. Tre anni al vertice della Sanità della Difesa. Proprio l'incarico raggiunto al culmine della tua carriera è chiara dimostrazione dell'altissima considerazione e della stima che ti sono riconosciute nell'ambito della Marina, dell'intero panorama militare interforze e del più ampio contesto medico nazionale ed internazionale, per il tuo contributo fondamentale alla Forza Armata ed all'intero sistema militare nazionale.

Marinaio lo sei stato sempre ed in senso compiuto, percorrendo tutte le tappe di una brillante carriera, iniziata sul Vittorio Veneto, prima come Sottordine e poi come Capo Servizio Sanitario, al tempo in cui la nave era l'unità maggiore, ammiraglia della flotta e nave di punta della Squadra Navale. Sono poi venuti i numerosi ed importanti incarichi in varie strutture medico-sanitarie presso diverse realtà territoriali: Roma, Augusta, Taranto, La Maddalena. Poi gli incarichi di staff, tra cui il lungo ed intenso periodo trascorso a CINCNAV negli anni '8O ed il successivo ed ancor più lungo impiego presso l'Ispettorato di Sanità della Marina negli anni '90. Il tempo è passato, è cresciuta la tua esperienza, sei diventato sempre più figura di riferimento in un settore cruciale per l'intero comparto della Difesa. Il Tuo impegno, superando i limiti delle Forze Armate, ti ha portato a ricercare, con grande energia, forme di collaborazione per conseguire obiettivi ad ampio spettro, a livello interagenzia ed internazionale.

Da quella particolare esperienza - conferenze, workshop, seminari, simposi, tavole rotonde - sempre cercando di allargare il coinvolgimento nell'interesse generale, sempre ponendo il mare e la Marina al centro del Tuo interesse. Tra le Tue memorabili imprese, la firma nel 2004, a bordo del San Marco ormeggiato nel porto di Tripoli, del Memorandum d'Intesa tra la Fondazione Medchild, la Marina Militare e il Libyan Medical Board. In quell'occasione sei riuscito a coinvolgere l'Ospedale pediatrico Gaslini di Genova e, con un team di medici di Marina, hai portato a Tripoli, su Nave San Marco, una camera iperbarica ed il personale subacqueo che potesse impiegarla. Da quella particolare esperienza emerge poi la tua naturale inclinazione a favore delle persone più deboli e svantaggiate, testimonianza di grande sensibilità umana, autentica nobiltà d'animo e notevole propensione per il prossimo e per l'innovazione.

Emerge poi la tua naturale inclinazione a favore delle persone più deboli e svantaggiate, testimonianza di grande sensibilità umana, autentica nobiltà d''animo e notevole propensione per il prossimo e per l'innovazione. Iniziative non convenzionali che si sono aggiunte ad un particolare dinamismo istituzionale, col quale hai sempre trainato l'ambiente alla ricerca di un servizio migliore. Sempre estremamente apprezzato, qualche volta inappagato per la ripidezza dei progetti, l'altezza delle idee. Fra queste, quella della Nave Ospedale, ideata, progettata, promossa in tutti gli ambienti, purtroppo senza finanziamenti. Pensare in grande vuol dire essere grande. Tu lo sei stato, come con il contributo a sostenere ed affermare l'importante concetto di Sea-basìng, di valenza strategica perla Marina, in questo caso applicato alle attività umanitarie e di soccorso in occasione di calamità, tanto attuale per la missione che il Cavour sta conducendo in aiuto del popolo di Haiti.

Con pari entusiasmo e dedizione, hai seguito la Tua vocazione per l'insegnamento, divenendo titolare del corso integrato di "Primo Soccorso nelle gravi calamità" nell'ambito della Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell'Università di Roma Tor Vergata. Cultore di storia, hai costantemente coltivato questa passione divenendo esperto degli aspetti relativi ai corpi sanitari militari e conseguendo risultati unanimemente riconosciuti. Anche lì, nel contesto storico, a fare da filo conduttore tra i diversi interessi, hai proposto il mare e le navi, con particolare riferimento proprio alle navi ospedale. Una personalità eclettica la Tua, caro Vincenzo. Nell'apprezzarla, l'ambito medico ci richiama la condizione ottimale della persona, nel corpo, nella mente e nell'animo, che esprimi in maniera preclara. Non è solo l'amicizia rafforzata dalla pressoché contemporanea cadenza del" compleanno, in realtà due anni e un giorno di differenza, che mi porta a questa riflessione. Né voglio stimolare, con te alcuna disputa culturale, soccomberei! Semplicemente, constatare come alla scontata attenzione medica corpori si unisca una prorompente espressione mentìs. La mente dello scienziato, speculativa ed analitica, culturalmente evoluta, carica d'interessi e di dinamismo intellettuale.

saluto congedo ammiraglio vincenzo martines Poi, l'animus, profondo, sensibile nelle corde più personali, dolce verso le cose e persone care, forte ed impetuoso a contrastare le avversità. L'animus del marinaio, come il vento che lo rappresenta, anche etimologicamente nella radice della parola greca anemoi. L'animus che ispira le sue poesie, doni di saggezza che ci ha elargito in abbondanza, lui che da medico e poeta dà prova di profonda conoscenza della natura umana. Vincenzo, ci mancheranno i tuoi versi durante gli incontri conviviali. Ci mancheranno le Tue battute durante le riunioni dei Tre Stelle. Non ci verrà meno il tuo esempio per le nuove generazioni. Non ci verrà meno la gratitudine per quanto hai dato alla Marina. Non ci verrà meno la tua amicizia. All'Ammiraglio Tommaselli, ora promosso Ammiraglio Ispettore Capo, che si appresta ad assumere, in pienezza di titolo, il ruolo di Capo di Corpo, il mio più sentito augurio di buon lavoro ed il più sincero auspicio di ogni successo. All'Ammiraglio Martines, al nostro Caro amico Vincenzo, a Sua moglie Nadia ed alla Sua famiglia, i migliori auguri da parte mia ed a nome della grande famiglia marinara, per un futuro sereno, prospero e ancora ricco di soddisfazioni.

L'ammiraglio Vincenzo Martines con l'ammiraglio Paolo La Rosa, Roma, 25 gennaio 2010
L'Ammiraglio Paolo La Rosa (a sinistra) e l'Ammiraglio Vincenzo Martines (a destra)
Roma, 25 gennaio 2010




Intervista all'Ammiraglio

Intervista di Eno Santecchia all'Ammiraglio Martines, pubblicata nel volume "Le orchidee del Chienti" di Eno Santecchia



Medico specialista e ammiraglio della Marina Militare (ora a riposo), Vincenzo Martines ci racconta alcune sue esperienze vissute durante la sua lunga ed intensa carriera, culminata nell'incarico di Direttore Generale della Sanità Militare italiana . È autore di diversi volumi e di oltre duecento articoli storici e scientifici ed è stato direttore responsabile del “Giornale di Medicina Militare”. A Gualdo è stato attivo presidente della Pro Loco. Il dott. Vincenzo Martines è uno di quegli uomini che un curioso non si stanca mai di ascoltare.

Come decise di arruolarsi in Marina?

“Mi ero laureato in medicina all’Università di Catania nel 1970 e dovendo assolvere gli obblighi di leva scelsi la Marina Militare e andai all’Accademia Navale di Livorno. Una organizzazione basata su principi etici e morali che condividevo pienamente : senso dello Stato e di responsabilità, apertura mentale verso il mondo e anche nei rapporti interpersonali, che, pur mantenendo il necessario rispetto gerarchico, consentiva il dialogo. Un mondo assai diverso da quello universitario, in quel periodo scosso da contestazioni e profondi mutamenti. Così la scelta fu naturale. Mio padre medico rispettò la mia decisione, anche se avrebbe preferito per me la carriera universitaria”.

Ricordi per noi un episodio curioso dell’Accademia o delle scuole di perfezionamento frequentate.

“Uno che mi aveva particolarmente colpito risale al 1971, fu il rimprovero solenne inflitto ad un allievo (cadetto) del primo anno che aveva commesso una mancanza. Sul piazzale sono schierati in formazione tutti gli allievi con i loro ufficiali, silenzio assoluto. L’allievo è solo , al centro del piazzale. Poi uno squillo di tromba preannuncia l'ingresso di colui che in gergo chiamavamo K2 ( il vicecomandante dell’Accademia) e ordina l’attenti allo schieramento. Altro squillo di tromba, entra il Comandante il Contrammiraglio Angelo Cabrini, Medaglia d’oro al Valor Militare (nel maggio del 1941 con un mezzo d'assalto aveva forzato la base navale inglese di Suda nell'isola di Creta ed affondato l'incrociatore pesante York). Viene letta la motivazione del rimprovero solenne. Il cadetto era rientrato dal permesso con otto ore di ritardo ed aveva riferito all'Ufficiale di guardia una scusa poco credibile, che al riscontro risultò falsa. Venne punito col massimo del rigore non tanto per il ritardo, quanto per aver mentito. Una punizione esemplare per ribadire che la verità è un valore assoluto nella convivenza umana.

Dove ha trascorso il periodo migliore della sua carriera?

“Mi sono trovato bene ovunque nelle tante sedi in cui sono stato destinato, anche perché la Marina consente e spesso agevola lo sviluppo delle proprie capacità ed attitudini personali in tanti settori compreso quello scientifico od artistico, ovviamente in armonia con il servizio. Nel 1983, ero capitano di fregata, fui destinato al Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV , denominato fino alla II guerra mondiale SUPERMARINA) che ha sede alla Storta a circa venti chilometri da Roma, come capo Servizio Sanitario . La mattina in galleria c’era il briefing con il Capo di Stato Maggiore Le pareti dell'ampio locale erano rivestite di carte geografiche dove erano segnalate la posizione delle nostre navi e delle altre nazioni comprese ( anzi ben evidenziate !) quelle dell'Unione Sovietica. Parlava per primo il meteo, un capitano dell'Aeronautica, poi il Capo Servizio Volo riferiva le risultanze dei nostri ricognitori (gli Atlantic) sul Mediterraneo, seguiva il rapporto del Capo Servizio del Genio navale sulla efficienza delle navi nell'ottica delle previste operazioni navali e non era sempre facile rispondere alle domande dell'Ammiraglio sui tempi di riparazione delle avarie , quindi era il mio turno riferivo gli aspetti sanitari delle unità in missione in particolare per quelle fuori dal Mediterraneo e segnatamente sulla prevenzione delle malattie infettive e tropicali. Ero sempre in contatto ed eseguivo spesso visite ispettive agli Ufficiali medici delle unità navali che stazionavano nelle principali basi di Taranto e La Spezia o in missione. Ero molto contento di questa destinazione: tutto il personale del Comando in Capo della Squadra navale era di primissimo ordine , i mezzi a disposizione i più moderni e giustamente si pretendeva il massimo dei risultati. Un altro periodo che ricordo con nostalgia è stato il mio primo imbarco sull’incrociatore lanciamissili e portaelicotteri “Vittorio Veneto” con un equipaggio di circa 600 persone. Avevamo spesso a bordo il comandante in Capo della Squadra Navale l'amm. Gino De Giorgi. Anche questo è stato un incarico molto gratificante dal punta di vista professionale e dove nei due anni di navigazione venni supportato da un team sanitario affiatato ed efficiente : un maresciallo infermiere , esperto ferrista di sala operatoria, un abile tecnico di radiologia, un odontotecnico (preziosissimo in pieno oceano!) e un tecnico di laboratorio, tutti sottufficiali assai valenti.

Cosa ricorda dell’Africa e dei porti o nazioni con i quali è venuto a contatto?

“Tra i primi doveri del medico di bordo quanto si arriva in un porto straniero è quello di presentarsi all’autorità sanitaria militare locale. Simpatico fu il caso nel porto militare di Tolone. Il direttore dell’Ospedale era un colonnello molto cordiale che mi fece visitare i tutti reparti, compreso quello dei grandi ustionati un centro molto importante perchè a bordo di una nave l’incendio è tra i pericoli più temuti. Nella guerra delle Falkland - Malvinas del 1982 gli inglesi persero tre fregate colpite da missili che provocarono estesi incendi con numerosi marinai gravemente ustionati Questi eventi fecero ripensare ad alcuni materiali presenti sulle unità navali che si erano rivelati particolarmente infiammabili sostituiti con altri nelle nuove costruzioni. Dopo quella visita, fui incaricato dai miei colleghi di una missione speciale :invitare le crocerossine dell’Ospedale della Marine Nationale a una festa da ballo al quadrato (salone) ufficiali di bordo. Le ragazze erano assai graziose e attraenti e la festa riuscì bene. Premetto che quando la nave ammiraglia si recava nei porti era prassi ordinaria organizzare a bordo visite e ricevimenti con personalità di alto rango. Nel 1972 nella crociera in Sudamerica a La Guaira, ( è il porto di Caracas,la capitale del Venezuela ) a bordo della nave ammiraglia Vittorio Veneto abbiamo avuto l’onore di ospitare due illustri personaggi: il presidente della Repubblica Rafael Caldera Rodriguez e il giorno successivo miss Venezuela, che ricordo suscitò un entusiasmo ancora maggiore nell’equipaggio. A Rio de Janeiro nelle tante feste organizzate tutti volevano salire a bordo, soprattutto le ragazze A Buenos Aires l’ambasciatore italiano venne a bordo, sul ponte di volo era stato allestito un grande ricevimento e i nostri cuochi ricevettero i complimenti per il menù ricco ed italiano, particolarmente apprezzati furono i cannoli siciliani e i babà. L'ultimo porto che visitammo in Argentina fu Bahia Blanca un porto militare, facemmo diverse escursioni tra cui una visita a Fortin Mercedes in Patagonia dove c’era una missione italiana salesiana e il santuario del beato Zeffirino Namuncurà. Gli emigrati italiani dei porti visitati si commuovevano fino alle lacrime a vedere ormeggiata una nave con la bandiera italiana e poter visitare quel pezzo di suolo italiano , quaranta anni fa c’erano minori possibilità di viaggiare e per i nostri emigrati di rivedere l’Italia. Si compivano anche delle esercitazioni congiunte con le marine estere anche al fine di fare conoscere la tecnologia italiana molto avanzata in particolare nel settore elettronico.

Quali sono state le gratificazioni ricevute?

“Sono tantissime, da quelle ufficiali, la “Medaglia d’Oro alla Sanità Pubblica” che mi fu consegnata al Quirinale dal presidente Ciampi e altre onorificenze, anche estere. Sono autore di diverse pubblicazione scientifiche e storiche tra cui: “La storia e gli uomini del Corpo Sanitario della Marina” contenenti le biografie degli ufficiali medici e farmacisti dal 1861 al 2000, due anni di lavoro insieme a una squadra di ricercatori da me diretti. Si sta lavorando ad una edizione aggiornata”.

Dopo aver osservato quel volume enciclopedico, le cui copie sono esaurite, gli dico: “È una miniera di notizie e curiosità”, mi risponde: “Eh … sì, i medici di Marina hanno compiuto delle imprese straordinarie”.

Ci racconti di una spedizione medico-scientifica e umanitaria.

“Quella nel Benin. Nel febbraio del 2002 , ero Ispettore di Sanità e Capo del Corpo Sanitario della Marina Militare, avevo ricevuto nel mio ufficio di Palazzo Marina il dottor Franco Poggio, presidente del Rotary di Milano Aquileia, che mi parlò del morbo di Buruli [descritto nel 1897 per la prima in Uganda, responsabile il Mycobacterium ulcerans; fu isolato in Australia nel 1948. Appartiene alla stessa famiglia della lebbra e della tubercolosi, ndr], una dermatite ulcero-necrotica grave e invalidante che interessava i paesi del Centro Africa, che colpiva particolarmente i bambini. Il vettore (verosimilmente un insetto) che trasmette la malattia era sconosciuto ma viveva sicuramente negli acquitrini. La terapia si avvale di alcuni tipi di antibiotici ma era stato prospettato un trattamento in camera iperbarica. Il Rotary aveva acquistato all’asta delle camere iperbariche già appartenute all'Istituto Ortopedico Galeazzi, costituito una Commissione su questa malattia e aveva intenzione di lanciare l’operazione “ Ossigenoterapia iperbarica contro il morbo del Buruli” nel Benin un paese africano dove la malattia era endemica” Al termine del colloquio mi fece delle precise richieste chiedendo la collaborazione della Marina Militare.

Condividendo l'iniziativa prospettai subito le richieste al Capo di Stato Maggiore della Marina l'Amm Marcello De Donno Così al Varignano (La Spezia) sede degli incursori della Marina Militare e dove esiste un Centro di Medicina Iperbarica venne addestrato alla conduzione della camera iperbarica del personale beninese (un medico, un infermiere e un tecnico) . Poi abbiamo assicurato, per i primi tempi dei trattamenti , la presenza di un ufficiale medico specialista nel settore e di un sottufficiale infermiere specializzato nella medesima disciplina.

Nel novembre del 2003 la camera iperbarica raggiunse il Benin via mare e venne installata presso il “Centre de Dèpistage et de Traitement des Ulceres de Buruli” di Alladà (a 50 km da Cotonou, la città più grande).

Iniziarono i trattamenti con ottimi risultati, anche se il numero dei malati curati non fu quello sperato anche perchè i beninesi si fidano molto degli sciamani locali e dei loro riti; non tutti lo sanno ma la religione Voodoo nasce proprio in Benin , dove è riconosciuta ufficialmente. Per l'arruolamento ci aiutò molto padre Alfonso e i suoi confratelli della comunità dei frati Francescani dell'Immacolata che avevano proprio ad Allada una missione che gestiva la Radio Immaculeè Conception che diffuse la notizia della opportunità di poter essere curati gratuitamente.

Compii anche una ricognizione sul posto. Rimaneva il problema di identificare il vettore di questo batterio che ha caratteristiche simili a quello della tubercolosi; avevamo bisogno di una figura particolarmente competente trovata nella persona del prof. Giorgio Leigheb, direttore della Clinica Dermatologica dell’Università Avogadro di Novara, ed esperto entomologo ( studioso degli insetti ) il quale si recò sul posto nell’agosto 2004 insieme all’ufficiale medico specialista in dermatologia Capitano di fregata Filippo La Rosa. Giunti in Benin eseguirono delle campionature di acqua negli stagni vicino alla città di Alladà per poi verificare in laboratorio la presenza di insetti possibili serbatoi del batterio.

I risultati delle ricerche furono negativi come i campioni portati presso l’Istituto di Malattie Tropicali di Anversa in Belgio. Questa del Benin è stata un’esperienza per me entusiasmante l’ho vissuta in tutte le fasi come un’avventura perchè comprendeva la stesura di un protocollo terapeutico innovativo che fu concordato con il responsabile della malattia del Buruli dell'Organizzazione Mondiale della Sanità dottor Kingsley Asiedu , quelli della ricerca scientifica con il tentativo di scoprire il vettore di questa patologia ( come per la malattia del sonno fu scoperto essere la mosca tsè-tsè ) e certamente non ultimi, quelli umanitari ”.

Quali sono i compiti importanti che la Marina Militare italiana svolge in tempo di pace?

Oltre alla difesa marittima delle coste e la protezione degli interessi nazionali al di fuori delle acque territoriali , partecipa alle operazioni nazionali ed internazionali per la gestione delle crisi, al contrasto dei traffici illeciti , alla bonifica dei fondali , ma ci sono anche altri compiti come le missioni antipirateria (Mar Rosso) quelle umanitarie ( ad esempio dopo il terremoto di Haiti del 2010) per non parlare del soccorso in mare che i mass media ci propongono quotidianamente nei confronti dei migranti ; una nave da guerra può diventare uno strumento “politico” .Ricordo che intorno 1973 in Spagna fu giustiziato un omicida con la garrota, fu deciso che la nostra nave non avrebbe toccato il previsto porto di Cartagena . Un'attività continua ed impegnativa è quella del pattugliamento del canale di Sicilia per la protezione dei nostri pescherecci. Quando si arriva nei porti esteri nelle visite a bordo si mostra la nostra tecnologia che può favorire eventuali aspetti commerciali nei confronti della nostra industria.

Ci racconti delle operazioni di soccorso e umanitarie da lei ricordate.

Sono numerose ne citerò solo alcune. Nel 1979 venne costituito l'8 gruppo navale composto dagli incrociatori Vittorio Veneto ed Andrea Doria e dalla rifornitrice Stromboli al comando dell'ammiraglio di divisione ,un marchigiano, Sergio Agostinelli ed inviato nel mar Cinese Meridionale per soccorrere i tanti vietnamiti in fuga dopo la vittoria dei vietcong e le conseguenti problematiche sociali ed economiche che tentavano di raggiungere con barconi improvvisati ( boat people) le coste della Malesia. Oltre 900 profughi furono portati a Venezia, dove furono accolti dal ministro della Difesa on. Ruffini.

Poi la missione a Timor Est con la nave S. Giusto nel 1995 dove era scoppiata una sanguinosa guerra civile : fu un’operazione di tipo militare (con interposizione tra i contendenti) ma anche sanitaria ed umanitaria. La nostra Marina Militare è intervenuta anche in soccorso nei terremoti tra cui quello di Agadir in Marocco, fino a quello di Haiti nel 2010, dove fu inviata la portaerei Cavour con un forte componente di medici di tutte le nostre Forze Armate; a bordo c’era anche una apparecchiatura TAC”.

L’avventura algerina

Una volta fu invitato come membro di una delegazione italiana composta da ufficiali dell’Esercito della Marina e dell’Aeronautica e rispettive consorti. Un viaggio in Algeria nell’ambito di uno scambio ufficiale di visite interforze . Entrando nella kasba di Algeri si accorse che in una strada laterale era seduto su una sedia un signore con le caratteristiche di un cardiopatico iperteso e con il volto rubizzo e francamente obeso, al collo aveva diverse sanguisughe e dietro un uomo che le aveva applicate, alle spalle il negozio di barberia. Al momento pensò a un ritorno alla medicina tradizionale, come capitava in Italia fino al tardo Ottocento. Tornato a Roma e parlando con gli amici chirurghi, esperti nel reimpianto di dita e arti, gli riferirono che l'utilizzazione delle sanguisughe è una metodica attualmente praticata anche nella microchirurgia delle gravi lesioni degli arti. Infatti prima di aspirare il sangue, la sanguisuga inietta una sostanza anticoagulante, sostanza che consente nei reimpianti una buona vascolarizzazione, evitando il formarsi dei coaguli. Le dissero che a Roma nella zona di ponte Milvio esisteva una farmacia che vendeva le sanguisughe. Ricorda di aver pubblicato sul Notiziario della Marina una foto del paziente algerino, con a fianco la sua consorte Nadia. Alloggiarono in un hotel ad Algeri con vicino un maneggio che si vedeva dal balcone; ricordando la lettura de “I predoni del Sahara” di Salgari in cui si descriveva il cavallo arabo focoso e veloce, il nostro ufficiale ebbe la voglia di provare il brivido di cavalcarlo. Prese accordi per fare un giro, ma gli capitò un brocco che a stento riuscì ad andare al trotto: fu una grande delusione. Quel cavallo aveva preso le migliori virtù dei dromedari, tranquilli e pigri per indole. Con un minibus dell’esercito percorsero la strada tracciata dai francesi per attraversare le montagne dell' Atlante e andare a visitare Timgad una città romana voluta dall'imperatore Traiano e costruita nel 100 d.C, quando si verificò uno scontro verbale sull’altitudine con un tenente colonnello del nostro esercito, il quale sosteneva di essere a circa 1800 metri sul livello del mare , peccato che Vincenzo aveva notato una pietra miliare che indicava invece 1200 metri di altitudine. Precisò questo fatto perché aveva notato che l’ufficiale illustrava alla propria moglie, particolarmente recettiva e mite, molte descrizione non reali. S’improvvisava guida senza avere la vera conoscenza dei luoghi e dei costumi.

Perché non avete visitato la città di Tamanrraset, nel cuore del Sahara?

“Il più anziano in grado era il ten. col. Bruno Simeoni, in seguito divenuto direttore generale del personale militare, la missione prevista di tre settimane fu poi ridotta a due per le perplessità dovute ad un viaggio impegnativo che richiedeva l’uso dell’areo e peraltro in zona con un minimo di rischio, ma forse anche per non voler stancare le consorti”.

Come andò quale membro della giuria per l’elezione di una miss?

“Mohamed, l’ufficiale dell’esercito algerino nostro simpatico accompagnatore e che parlava bene italiano mi aveva preso in simpatia e una volta mi volle coinvolgere come membro della giuria in un concorso di bellezza per l’elezione di miss Tipasa, un centro sulla costa, non troppo distante da Algeri. L’hotel aveva un grande giardino con palme e alberi d’alto fusto ma ciò che colpiva di più era l’intenso profumo di gelsomino. Su un palco sedeva la giuria composta di una decina di persone; si votava con palette numerate. Sfilarono allora una ventina di ragazze con i capelli lunghi e corvini dai profondi occhi neri valorizzati dai contorni con l’henné”. Il nostro capitano di fregata ebbe serie difficoltà a votare, tanta era la bellezza delle candidate, non si comportò affatto con i pessimi voti espressi di solito dalla spietata giuria della nota trasmissione televisiva “Ballando con le stelle”. Prevalse Fatima la ragazza numero 10, dalla figura slanciata, capelli lunghi fino alle spalle, il rossetto evidenziava una bocca sensuale che nulla toglieva alla sua grazia ed eleganza. L’incedere era flessuoso come quello di un felino. Sguardo penetrante e seno che poteva essere compreso nella classica coppa di champagne.

Ci dica qualcosa sull’esperienza libica.

“La missione in Libia nacque dal mio convincimento che la Squadra navale dovesse avere una nave ospedale . Nell’ultima guerra mondiale furono diciotto , tra piccole medie e grandi. La prima nave ospedale della Marina italiana fu la Washington impiegata nella sfortunata battaglia di Lissa del 20 luglio 1866. Dopo le seconda guerra mondiale l’Italia non più avuto navi ospedale sia per il ridimensionamento della flotta, sia per i costi di acquisizione e di mantenimento, a fronte di un impiego occasionale. Anche se nel dopoguerra in alcune particolari eventi alcune unità della squadra furono adattate al soccorso, cura e trasporto di eventuali feriti. Come avvenne nella guerra del Golfo Persico del 1991-92 quando la nave “LPD San Marco” [San Marco, San Giusto e San Giorgio. Navi polivalenti di 7.960 ton, con ponte di volo, dedicate essenzialmente al trasporto di truppe speciali (Btg San Marco, oggi Brigata), in particolare per le operazioni anfibie: lo sbarco sul litorale e la costituzione di una testa di ponte per successivi interventi, ndr] fu adattata a nave di tipo ospedaliero con 100 posti letto, due sale operatorie , un consistente numero di ufficiali medici , un farmacista, sottufficiali infermieri, un laboratorio di analisi, un gabinetto radiologico ed uno odontoiatrico, per le esigenze del XX gruppo navale italiano inviato in quelle acque.

Gli Stati Uniti avevano dislocato nella zona una delle loro navi ospedale la Comfort (64.000 tonnellate) dotata di 1.000 posti letto, dodici sale operatorie, che visitai molti anni dopo nel porto di Baltimora. Nave utilizzata anche per fornire assistenza medica in porti dove non ci sono adeguate strutture sanitarie, o in caso di catastrofi naturali come nelle Filippine e in porti africani.

Durante i miei frequenti incontri con i capi di Stato Maggiore della Marina Militare proponevo sempre il progetto di una nave ospedale. Il problema principale (o forse il solo) era quello economico. Bisognava trovare uno sponsor. L’occasione si presentò a seguito di contatti con l'Ospedale pediatrico Gaslini5 di Genova che tra i suoi progetti aveva quello di espandere la sua influenza nei paesi rivieraschi nel mediterraneo come polo di eccellenza per i casi più delicati. L’Istituto avrebbe così valutato la possibilità di realizzare il progetto in collaborazione con la sua Fondazione e alcune banche.

Il 29 dicembre 2003 la Fondazione Gerolamo Gaslini costituì il “Medchild Institute”presieduto dall'ingegnere Musso, per promuovere la salute fisica e mentale dei bambini che si affacciano sul Mediterraneo , mediante una cooperazione culturale e sanitaria fra le nazioni, la promozione di ricerche scientifiche congiunte con l’interscambio di esperienze. La Marina Militare avrebbe potuto fornire il Comandante e l'equipaggio.

Durante la conferenza di tre giorni “Children and Mediterranean” svoltasi il 7 gennaio 2004 a Genova a bordo della grande nave passeggeri Mistral, tra le autorità presenti vi erano il cardinale di Genova Tarcisio Bertone [Anche nella sua veste di presidente dell’Istituto Giannina Gaslini, famoso ospedale pediatrico italiano. Altro polo di eccellenza italiano era l’ospedale Bambin Gesù di Roma, ndr], il prof. Romano Prodi [All’epoca presidente della Commissione Europea, ndr] e il dott. Guido Bertolaso [allora Capo della Protezione Civile], annunciai una missione scientifica congiunta tra la Marina Militare e l’ospedale Gaslini. Era stata scelta la Libia per diversi motivi, ma soprattutto perché il governo libico in quel periodo aveva chiesto una collaborazione sul funzionamento e il trattamento terapeutico degli infortunati da malattie da decompressione.

Quella missione a Tripoli aveva un triplice scopo: soddisfare la richiesta dello Stato Maggiore libico, consentire all’istituto Gaslini di far conoscere le sue eccellenze, esperienze e tecnologie nel settore pediatrico in tutti i paesi del bacino Mediterraneo e creare i presupposti per allestire e rendere operativa una nave ospedale. Quest’ultimo scopo in realtà era un progetto molto impegnativo e particolarmente costoso, la Marina come detto avrebbe fornito l’equipaggio, mentre lo scafo sarebbe stato a carico del Gaslini. L'area sanitaria era stata elaborata dall' Ufficio Studi dell'Ispettorato di Sanità M.M. diretto dal Capitano di Vascello Rodolfo Vigliano. Era stata esclusa la possibilità di convertire un piroscafo mercantile, né di utilizzare una nave porta container, come ad esempio hanno fatto gli inglesi durante la seconda guerra del Golfo con la nave Argus.

A Tripoli, presente il nostro ambasciatore S. E Francesco Trupiano , fu firmato un protocollo d’intesa finalizzato a creare un canale preferenziale per patologie di particolare gravità tra la Libia e il Gaslini. In questo modo casi selezionati che non potevano trovare in Libia adeguati livelli di assistenza dovevano essere trattati al Gaslini. Durante il periodo di permanenza a Tripoli si svolse il primo convegno italo libico di pediatria e medicina iperbarica (dal 27 al 30 novembre 2004) in parte a bordo della nave San Marco e in parte presso il centro congressi del Ministero della Salute libico .Dopo circa un anno, purtroppo, quell’ambizioso progetto della nave ospedale naufragò a causa delle mutate situazioni economico-finanziarie di alcune fondazioni che avevano dato la disponibilità al progetto.

Curiosità. “Durante il convegno presso il Ministero della Salute libico ho voluto fare un discorso introduttivo in lingua araba, articolato su quattro concetti, che è stato molto apprezzato”.

Che cosa ricorda della Somalia?

“Mi sono recato diverse volte in quella nazione [L’Italia ebbe il protettorato sulla Somalia dal 1889, nel 1905 fu trasformato in gestione coloniale diretta. Nel 1936 fu compresa nell’Africa Orientale Italiana. Dal 1950 al 1960 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affidò all’Italia l’amministrazione fiduciaria per dieci anni, alla fine della quale acquisì l’indipendenza, ndr] per il reclutamento di ufficiali somali da inviare presso le nostre Accademie militari.

Per le Forze Armate formare Ufficiali stranieri presso le nostre Accademie è una politica che ha un ottimo ritorno : apprendono la nostra lingua , apprezzano la cultura italiana intrecciano rapporti di amicizia e a volte anche sentimentali così si sono sempre rivelati utilissimi nelle relazioni internazionali soprattutto quando arriveranno a posti di comando ; anche se non posso non dimenticare con vero rammarico che alcuni ufficiali iraniani dopo la rivoluzione Khomeinista che aveva detronizzato lo Scià Reza Pahlavi, furono allontanati dalle forze armate nel migliore dei casi per non dire che qualcuno fu impiccato.

Nel 1991 la Somalia del nord si era ribellata al governo centrale di Siad Barre e tentava addirittura di invadere quella del centro-sud. Vi erano due contingenti italiani uno dell’Esercito che addestrava l’esercito somalo, in particolare nella tattica con veicoli corazzati, da noi forniti. L’altro contingente era dell’Aeronautica Militare (missione Diatma) per la ricognizione aerea. Quell'anno anno all’ospedale militare affluivano numerosi feriti da armi da fuoco, nonostante le autorità militari somale negassero che ci fosse la guerra civile. Una volta fui consultato dal loro maggiore radiologo che mi mostrò alcune radiografie, dove si vedeva una vescica verticalizzata, la lastra comprendeva anche il bacino, dove si vedeva chiaramente un proiettile da arma da fuoco che era rimasto nel gluteo. Le ferite dei ricoverati erano tipiche di scontri armati e non certo da infortuni da lavoro o domestici!

Per il gran caldo avevamo sempre volta di fare un bagno in mare perché sul fiume Uebi Scebeli c’erano i coccodrilli, ma … in mare gli scarti gettati da un “efficiente” mattatoio a Mogadiscio attirava … i pescecani! Così andavamo in una spiaggia un po’ distante da Mogadiscio, assai frequentata dai somali; perdurava il timore degli attacchi degli squali piccoli che riuscivano a superare la barriera corallina avvicinandosi a riva. Mi faceva sorridere che quando misi solo i piedi in acqua a diverse decine di metri c’era una barriera umana composta dai bagnanti somali che, coraggiosamente si erano spinti più a largo … loro sarebbero state le prime vittime. Lo stesso terrore lo ho provato in una spiaggia della Florida a Pensacola, dove mi avventurai coraggiosamente ad una profondità non superiore al ginocchio. Coincidenza comica fu che un pomeriggio al cinema “Impero” di Mogadiscio si proiettava il film “Lo squalo” (uno della serie).

Si vedevano ragazzi in carrozzella senza un arto e ci dissero che erano stati causati da attacchi squali, non esistevano statistiche al riguardo come negli Stati Uniti. Ricordo la grande fattoria fondata dal Duca degli Abruzzi10 dove crescevano rigogliose banane, ananas, manghi, papaye, dando lavoro a persone del luogo. Dopo la fine dell’amministrazione fiduciaria nel 1960, all’epoca (1987-90) quella colonia agricola era ormai degradata, l’attività si era ridotta fino quasi all’abbandono agronomico. 10 Il Villaggio Duca degli Abruzzi (Villabruzzi) era una colonia agricola fondata nel 1920 dal duca Luigi Amedeo di Savoia Aosta. Aveva tutte le strutture sociali necessarie. Si trovava a 50 km a nord di Mogadiscio in una fertile vallata vicino al fiume Uebi Scebeli. Oggi è un quartiere di periferia della città di Giohar.

Avete avuto a che fare con i pirati?

“No, all’epoca non c’erano, o perlomeno era un fenomeno a livello locale. Nel 1988-90, il nostro servizio si svolgeva in Ospedale militare e della Polizia al fine di selezionare i giovani allievi ufficiali che avrebbe poi frequentato le accademie militari italiane. Andammo una volta con un volo dell’Aeronautica Militare Italiana a Chisimaio sul fiume Giuba, dove c’era un vecchio lebbrosario, degli ambulatori e un buon laboratorio di analisi dedicato in particolare alle patologie parassitarie”.

Una nave ospedale sul lago Vittoria

Non avendo potuto conseguire l’obiettivo della realizzazione di una nave ospedale per la Marina Militare Italiana il nostro ammiraglio non si è arreso. L’amico prof. Luigi (Hur) Gentilini, illustre chirurgo, che era stato per oltre venti anni in Africa in Somalia (quando era in amministrazione fiduciaria) amava l’Africa e conosceva le condizioni di grande povertà e le tante insidiose malattie e dopo esser rientrato in Italia, sentiva il bisogno di tornarci per curare il suo mal d’Africa. Compiva spesso con dei colleghi missioni umanitarie ,era instancabile in sala operatoria, sul lago Vittoria si accorge che non vi sono strutture ospedaliere e che le malattie mietevano tante vite soprattutto tra i bambini, donne e anziani. Aveva notato come alcune malattie si presentavano in fase avanzata e quindi non più curabili da qui l’idea di una piccola nave ospedale che potesse servire gli abitanti di una parte della costa del lago totalmente sprovvisti, come detto, di strutture sanitarie.

Lui partiva dal principio che noi dobbiamo insegnare ai medici ed agli infermieri locali le nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche tanto che sulla nave ipotizzata (tipo catamarano , il più adatto per le caratteristiche di quel lago) era prevista una piccola sala operatoria, un gabinetto radiografico, un laboratorio di analisi , circa trenta postiletto , una piccola farmacia e un ambulatorio , ma anche un'aula didattica. Ma se la squadra di medici e di tecnici era pronta. occorreva raccogliere dei fondi per la costruzione della nave. Così il professor Gentilini, il nostro ammiraglio e un gruppo di medici propensi alle missioni umanitarie tennero conferenze in diverse città d’Italia, ospiti di associazioni ed Enti come il Lyons, il Rotary, le Regioni, le Province ,l’ospedale San Giovanni Battista di Roma alla Magliana, del Sovrano Militare di Malta ,l' Associazione dei dipendenti della Banca d’Italia e tanti altri. In diverse conferenze erano presenti ambasciatori degli Stati che si affacciano su quel grande bacino lacuale. Era intenzione fare medicina e non ripresentare la vecchia figura del colonialista imperialista europeo, formare i locali e farli crescere e non colonizzarli. Come dice la citazione di padre Daniele Comboni [Daniele Comboni (1831-1881) missionario e viaggiatore italiano visitò l’Egitto e la Nubia e vi condusse una campagna antischiavistica e poi il Sudan, sua seconda patria. S’interessò più ai problemi socio-economici ed umani che all’evangelizzazione. Nel suo “Piano per la rigenerazione dell’Africa” esprimeva la sua convinzione di poter “salvare l’Africa con l’Africa”. Fondatore degli istituti dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù e delle Pie Madri della Nigrizia, divenne vescovo, fu santificato il 5 ottobre 2003, ndr] missionario in Africa: “Salvare l’Africa con gli africani”, impressa anche in un francobollo italiano del 1981.

Il lago Vittoria posto tra il Kenya e la Tanzania è prossimo all’equatore, imperversano tante malattie endemiche tra cui la malattia del sonno, la malaria, l’ulcera del Buruli e tante altre patologie tropicali, poco conosciute in Italia. La popolazione vive con le risorse fornite dal lago molto pescoso, e dal quale nasce il Nilo azzurro. Furono attivati molti canali, però la raccolta fondi fu assolutamente insufficiente. Si spera in fondi europei perché l’Europa ha un occhio di riguardo verso l’Africa. I fondi dovrebbero essere richiesti dai governi locali con maggiore determinazione, prospettando la necessità prima di un’adeguata moderna e adeguata assistenza sanitaria, nell’ambito della quale la piccola nave ospedale potrebbe giocare un ruolo importante. Se il nuovo governo tanzaniano metterà come prioritario per il Paese l’aspetto sanitario, il progetto potrebbe essere finanziato anche in parte dall’Unione Europea. Le attrezzature, tra cui un sistema di telemedicina, si potranno acquisire tramite degli sponsor, manca lo scafo e il motore il cui costo si aggira sui 4-5 milioni di euro. Se la nave sarà costruita in loco costerà di meno.

Ci dica qualcosa sul grado di commodoro

“Il grado di Commodoro presente in alcune marine estere è un grado intermedio tra il capitano di vascello (colonnello) e quello di contrammiraglio (nell'esercito Generale di Brigata) Di fatto si tratta di un capitano di vascello che ha funzioni di comando su un gruppo di navi, inferiore a quello di una divisione navale, al cui comando si trova un ammiraglio di divisione. È in uso in alcune marine straniere tra cui l’Argentina. Ebbi occasione di incontrare un ufficiale in divisa di quel grado, la cui figlia aveva sposato un mio collega a Roma , noi eravamo in “dinner jack” [Si indossa quando per i civili è previsto lo smoking, ndr]. I pantaloni sono blu, come la giacca , l panciotto nella divisa invernale è blu, mentre d’estate il colore è bianco. Si indossava assai di rado in cerimonie di gala, alle quali partecipavano personalità di alto livello. Ricordo di averla indossata a San Paolo del Brasile in un ricevimento importante. Le attribuzioni esercitate da un ammiraglio di Stato Maggiore possono riguardare sia il comando di una squadra, divisione o gruppo navale, oppure comandare delle basi a terra con funzione prevalentemente logistica. Altri incarichi possono riguardare l' Accademia Navale, le Scuole Sottufficiali e alcuni comandi particolari: come il Comando Incursori del Varignano vicino a La Spezia, il comando dei sommergibili o incarichi all’estero presso la NATO e l'ONU. Altri componenti della Marina Militare Italiana sono il Corpo delle Capitanerie di Porto (Guardia Costiera) quello del Genio e le Armi navali, l’Ispettorato di Sanità e quello di Commissariato. In particolari zone strategiche (Suez, Panama, ecc.) o grandi complessi la responsabilità della gestione e del controllo è affidata ad ammiragli.

Ci racconti qualche tradizione della Marina Militare Italiana.

“Ricordo che quando m’imbarcai sulla nave San Marco per la missione a Tripoli nel 2004 sulla nave fu issata la bandiera con le mie insegne di ammiraglio (fondo blu con tre stelle di colore giallo). Al termine della missione, come d’uso, il comandante della nave mi consegnò la bandiera in un cofanetto di madreperla acquistato a Tripoli e che ancora oggi conservo gelosamente. Al tramonto tutto l’equipaggio libero si riunisce sul ponte di volo e sull’attenti a capo scoperto è letta la commovente Preghiera del marinaio scritta da Gozzano, poeta di fine Ottocento. Il saluto tra gli equipaggi di due navi che transitano vicine può essere a voce , quando ci sono le massime autorità si usano anche le salve di fucile e di cannone. Fischi alla banda Quando un Ufficiale o un’Autorità sale a bordo di una nave militare il corpo di guardia composto da un Ufficiale ,un sottufficiale e dei marinai gli rende gli onori che variano in rapporto al grado : da due a otto fischi alla banda. L’usanza risale alle tradizioni della marina velica quando di sera l’ufficiale che saliva a bordo era accompagnato nel suo alloggio da due, quattro o sei marinai muniti di lanterna”. Ai giovani che vogliono intraprendere la carriera militare di mare come Ufficiale (nei corpi di Stato Maggiore, Genio ed Armi navali, Sanitario, di Commissariato o nelle Capitanerie di porto) o come Sottufficiale , il disponibile ammiraglio dice: “La Marina Militare ha come orizzonte il mondo, solca tutti i mari e viene a contatto con tante realtà, alcune molto piacevoli, altre che possono implicare dei rischi , si pensi alle missioni fuori area ( Afganistan, Libano etc. per difendere la pace e la democrazia ) ma nei paesi lontani anche le minacce delle malattie tropicali che si possono ben contrastare per cui è necessario che nello zaino di ogni ufficiale medico di Marina ci sia una specifica competenza, abbinata a una curiosità scientifica”.